Mi sia perdonata una qualsiasi forma di fantasia. Chi scrive non è Gianni Brera e le tre partite riguardanti il movimento nazionale maschile hanno portato, nell’ordine, a un saliscendi di rassegnazione, sconforto e delusione che ha svuotato rapidamente il famoso bicchiere mezzo pieno con cui, instancabili ottimisti della palla ovale, dobbiamo dissetarci da ormai troppo tempo.
RASSEGNAZIONE
Paradossalmente, la sconfitta che fa meno male è quella più pesante in termini di punteggio.
Non sarebbe stato onesto né ragionevole pensare che queste Zebre, rimaneggiate senza nazionali, potessero porre fine alla striscia vincente dei sette volte campioni in carica di Dublino. Indubbiamente, un risultato più contenuto avrebbe avuto un aspetto diverso, quasi positivo e sicuramente incoraggiante, ma non è questione di puntare il dito contro i giocatori. Il dito va puntato molto più in alto.
Leinster ha consegnato alla nazionale irlandese 8 dei suoi titolari, più tutto il reparto dei trequarti di riserva. Al netto di qualche riposo e qualche infortunio, non è scorretto dire che la squadra di Dublino sia scesa in campo con alcune terze scelte, comunque supportate brillantemente da Toner e Fardy, grandi bandiere della squadra.
Queste riserve, però, hanno tutte una cosa in comune. Un percorso condiviso, studiato, che parte da molto lontano. Un’Academy strutturata, in continua evoluzione e motivo di lustro sia per le U18 e U19 interne alla franchigia sia per il ricchissimo universo di club della provincia. Un cammino che insegna basi tecniche e tattiche ma che, in primo luogo, costruisce un concetto di appartenenza che assicura alla prima squadra un ricambio di prim’ordine, quasi indolore col passare degli anni.
Le Zebre, semplicemente, no.
Allo stato attuale, la franchigia di Parma è un punto di arrivo per molti giocatori italiani, senza cercare particolari scuse perché, semplicemente, non ce n’è motivo. Attingendo dalle squadre di TOP12 – o forse sarebbe meglio dire TOP10, come abbiamo già detto qui https://www.thewingers.it/it/sono-un-giocatore-di-serie-c-e-non-so-le-cose/ – si risparmia molto in termini economici ma non si crea quel percorso di crescita tecnica condivisa e, soprattutto, affezione alla squadra che solo le sezioni giovanili ben costruite possono dare.
E non ci soffermeremo sul logico e conseguente impoverimento tecnico del massimo campionato italiano, che mai potrà migliorare se viene saccheggiato in continuazione dei suoi giocatori più promettenti.
SCONFORTO
Dopo i 55 punti di differenza contro gli irlandesi, – anche qui non ci nascondiamo – l’aspettativa nei confronti del match dei Leoni contro gli Scarlets era di gran lunga superiore rispetto a quella riposta nell’impresa parmense. La sfida – come poi effettivamente è stato – si presentava equilibrata, essendo entrambe senza vittorie e titolari prestati alle rispettive nazionali. Ma i frequenti errori di handling dei gallesi con il solo Liam Williams come giocatore simbolo e, soprattutto, un pallone biancoverde perso negli ultimi 5 metri – solito, noioso vizio italiano – in superiorità numerica dopo l’espulsione di Jones, a pochi minuti dalla fine, fanno recriminare contro un ben più che beffardo esito. Treviso è la massima espressione del rugby italiano, l’ha dimostrato ma non può né deve accontentarsi di questo riconoscimento, perché le medaglie contano poco, si arrugginiscono e diventano in fretta patacche.
DELUSIONE
Il titolo dell’articolo, come già accennato nelle prime righe, non è un gioco di parole frutto della creatività di chi scrive. Arriva direttamente da Stephen Aboud, irlandese chiamato nel 2017 dalla FIR per ricoprire il ruolo di Responsabile della Formazione dei giocatori di alto livello giovanile e degli allenatori, durante il corso allenatori federale di Livello 3 fatto a Parma.
Una frase che sembra una di quelle espressioni a effetto da tramandare alle generazioni successive, incredibilmente vera.
Inutile complicare le cose, fatele semplici. E nel rugby, come nella vita, sono le cose fondamentali quelle sulle quali costruire tutto il castello. Placcaggi, punti di incontro, pressione, fitness. Tutti tasselli mancanti nel nostro puzzle, che già conta pochi pezzi rispetto agli altri.
Dalla partita di ieri, cioè dallo scontro tra i massimi esponenti dei rispettivi movimenti nazionali, è emerso che non siamo al livello degli altri, non solo come organizzazione di gioco, idee o elementi che puoi migliorare a livello di coaching e staff, ma come skills, fitness e comprensione del gioco.
Intendiamoci, come per ogni articolo presente su questo sito, l’osservazione “ma tu chi sei per dire queste cose? Cosa hai fatto nella tua carriera rugbystica? In che squadre hai giocato?” è sempre valida. Ma se siete arrivati fino a qui, tanto vale continuare fino alla fine, manca poco.
Placcaggi poco efficaci, ritardo nei sostegni e nei punti di incontro, poca prontezza ad affrontare le accelerazioni e i cambi di marcia degli avversari. La solita solfa, insomma.
“Dobbiamo ricordare che Roma non è stata costruita in un giorno”, le parole di Coach Franco Smith alla viglia della partita. Sacrosanto.
Ma la domanda, a questo punto, è: siamo sicuri che stiamo puntando a quella Roma, capitale di un impero continentale? Forse stiamo sbagliando la narrazione e stiamo puntando troppo in alto per il livello al quale siamo ora, illudendoci di poter arrivare a giocarcela con tutti nel breve periodo? Quali sono gli obiettivi del movimento?
Ne parleremo, e continueremo a chiedercelo.
Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare, diceva Churchill. E per ora è cambiato solo il livello dell’acqua nel bicchiere, sceso sempre di più fino al rimanere di poche gocce.
Singole individualità e sparuti moti d’orgoglio, come la prestazione condita con una pregevolissima meta del giovane Garbisi – celebrato da tutta la stampa estera come un ottimo prospetto – Polledri – autore della solita ottima prestazione – e Padovani – splendida meta dopo intercetto, segnale di freschezza mentale e fisica – che possiamo solo osservare solitarie, augurandoci che non si trasformino mai in un calcare che già si è appropriato del fondo.
E speriamo, come ogni amante di questo sport spera, che prima o poi, quel calcare, venga grattato via.